SOTTO L’ALA DEL CONTEMPORANEO. DALLA GNAM AL MAXXI – LE INQUIETUDINI

di Raffaella De Nicola

Camminare in mezzo ai leoni, avere alle spalle Villa Borghese, salire la gradinata, trovarteli accanto. Così  Davide Rivalta li ha interpretati, neri, grossi, potenti, in bronzo. Hic sunt leones, esploriamo, allora, come è nella loro natura, questa foresta   magnifica  della Galleria Nazionale di Arte Moderna, la GNAM a Roma,  sensi felini, guardinghi nello spazio celebrativo, monumentale, costruito nel 1911  dall’architetto e ingegnere Cesare Bazzani per   il Cinquantenario dell’Unità d’Italia come Palazzo delle Belle Arti, poi diventato contenitore museale come  GNAM nato per raccogliere  le eccellenze delle Esposizioni nazionali,  prima volontà politica per navigare uniti, unitario come lo stato appena nato,  verso la comune identità culturale.

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Siamo a Roma, panorama urbano che non ci onora, ma  i musei della città  trattengono fieri, maestosi, stridenti con la decadenza esterna, un ventre residuale di grande bellezza.

Già solo il Palazzo, le vetrate, in questo spazioso tempio  meriterebbero una visita ma si va oltre nel viaggio spaziale dall’Ottocento fino ai nostri giorni, fra le  20.000 opere dell’unico museo nazionale dedicato interamente all’arte moderna e contemporanea, dove anche le difficoltà di capire l’arte informale vengono superate da una percezione,  lampi visuali  che arrivano con grande suggestione.

 

Sulla scalinata, nel pronao di questo tempio moderno, la sfida dei versi di Shakespeare e della mostra all’interno, Time is Out of Joint , nel nostro tempo disarticolato, dove l’incipit della sovversione può, invece,  diventare epilogo, se lo sguardo non si appella ad una realtà che trattenga le tensioni e non ricomponga  certezze umane  “Un tempo che va ricomposto, messo al diritto”.

La grandezza di questo museo si deve all’intuizione di Palma Bucarelli, prima donna ad essere nominata direttrice di un museo, poi sovrintendente,  dal 1942 al 1975 che tutelò e difese quel patrimonio  nascondendolo durante la guerra mondiale.

Personalità controversa,  oggetto, addirittura, di interrogazioni parlamentari per la gestione e  la politica delle acquisizioni del museo, segnò  una svolta nella politica culturale del nostro paese aprendo le porte ingessate delle istituzioni museali alle avanguardie e alle ricerche artistiche più contemporanee. Bellissima, intellettuale, coraggiosa, innovatrice,  le sue scelte hanno consentito all’Italia di avvicinarsi alla produzione artistica internazionale, dando la possibilità al pubblico di conoscere da vicino le opere di artisti di cui tanto si sentiva parlare. Nascono così le politiche di acquisto di Degas, Monet, Van Gogh, Cezanne, Moore e tanti altri e una serie di mostre che testimoniano le sue scelte anticonformiste e lungimiranti: Picasso (1953), Scipione (1954), Mondrian (1956, allestita da Carlo Scarpa), Pollock (1958).

 

Forse un’azione di chiaroveggenza, per la nostra città, questa dell’Arte Moderna, si pensi alla prossima apertura del MAXXI,  se già nel 1947 la Bucarelli  portò all’Aquila un’esposizione storica sulle opere di Filippo Palizzi e  poi  la direzione di Giorgio de Marchis, nato a L’Aquila nel 1930,  giunto “nel 1964 per concorso alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma a cui dedicherà l’intero cursus da ispettore a Soprintendente”

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Uomo di cultura, scrittore, critico d’arte, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Tokio pensò di donare alla sua città un lascito della sua vita e della sua professione con la Fondazione  Giorgio de Marchis Bonanni d’Ocre – Documenti di arte contemporanea – ONLUS, ora in pieno centro,  circa 200.000 fondi archivistici e bibliografici, 10.000 volumi della sua libreria in una continuità, lo leggiamo nel sito della Fondazione, con l’Archivio bio-iconografico della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma per le similarità strutturali, integrazione alla preziosa documentazione in esso contenuta con lo sguardo verso la formazione di studenti. E’ il  “Dio che abita nel dettaglio” (Giorgio de Marchis “Il pittore, l’umanista e il cagnolino” Einaudi editore)

Giorgio De Marchis morirà a Roma il 1 gennaio del 2009, l’anno più tragico della recente storia aquilana.

Fa pensare che proprio dopo l’anno  del terribile sisma,  come un un testimone virtuale, al MiBACT  si cominciò a pensare di dotare la nostra città di un museo delle arti del XXI secolo,  il MAXXI dell’Aquila.

Tangenze c’erano state, molecole dell’Arte avevano reso la città  particolarmente effervescente, anche grazie alla vicinanza con Roma da cui arrivavano echi non troppo lontani di sperimentazione artistica.

Già nel  1955 un gruppo di giovani intellettuali  aquilani volle infrangere gli ambiti della periferia per accostarsi alle fonti originarie della cultura nazionale. Nacque così, dal circolo incontri culturali, la Mostra Panoramica Nazionale di pittura contemporanea, 75 opere allora esposte nella sala rossa del Teatro comunale poi in gran parte acquisite dal Museo Nazionale d’Abruzzo per tracciare, insieme alle opere di maestri locali, De Sanctis, Cencioni, Iorio, il binario dell’espressione  artistica aquilana che si andava a confrontare con le  nuove tecnologie e con i movimenti internazionali di grande creatività artistica.

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L’esplosione di colori, l’informale che supera il figurativo e sommerge le devastazioni del panorama postbellico, assemblando energie comuni, arriva all’importante e prestigiosa rassegna Alternative Attuali  del 1962 che proseguì, negli anni, con varie repliche nel Castello Cinquecentesco. In osmosi perfetta e felice,  venne il tempo d’oro della cultura aquilana, uno sconfinamento anche in altri ambiti, il TSA, i grandi maestri nell’Accademia delle Belle Arti, Nino Carloni…

E poi gli anni che si susseguirono, non sempre facili, la difficile  ricerca di una nuova versione di città  vincolata troppo  a  ciò che si era stati, debole nella progettazione di ciò che si può diventare.

In mezzo i  flussi d’arte del Contemporaneo, bombe atomiche che provocano e sfidano,  interpretano il dolore , le inquietudini, cercano nuovi percorsi

Ma torniamo ai leoni neri,  all’ Hic sunt leones usato nelle antiche carte geografiche per indicare spazi inesplorati, al time is out of joint della GNAM,  in questo tempo oscuro che vedrà, prima o poi,  l’inaugurazione del MAXXI a L’Aquila . Per l’appunto.

E allora, camminiamo con passi felpati in mezzo alle tenebre, guardinghi come leoni,  siamo noi, nel tempo spezzato, disarticolato, fiere solitarie nel variegato arcipelago della scena contemporanea dove tutto si muove senza certezze, l’uomo esplora e dà voce alle inquietudini, alle domande che non trovano risposte.

“Che cos’è il contemporaneo?  –  chiesero al filosofo Agamben

Contemporaneo è colui che riceve, in pieno viso,  il fascino di tenebra che proviene dal suo tempo”

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