Al cimitero dell’Aquila tra storia, Halloween e incuria

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Varcare la soglia di un cimitero, entrare in una città “altra”, luogo  di  memoria e ricordi fra silenziose  lapidi. Sono un calco, i cimiteri, un’ immagine riflessa allo specchio, e contraria, della città dei vivi, una distesa di anni che racconta storie familiari e  collettive. Fu Napoleone, con l’editto di Saint-Cloud del 1804, ad imporre nuove regole alle sepolture: non più all’interno o vicino alle chiese o nelle fossi comuni, ma al di fuori  dei centri abitati nella visione illuminista della città e della sicurezza  igienica. Spesso visitati dai turisti come musei all’aperto, i cimiteri monumentali celebrano  l’intimità di un dolore o di una vita illustre, uno spazio che è geografia dei vissuti con i cipressi, alberi dell’immortalità, legno dell’eternità,  che  sovrastano le tombe e sembrano fiamme solenni.

Nella parte più antica del cimitero dell’Aquila  si attraversa la città di fine Ottocento. L’ incuria è palese,  non risparmia neanche la tomba di chi  dovrebbe essere ricordato,   Pietro Marrelli  “apostolo martire della libertà e del civil progresso“, nato benestante e morto quasi povero nel 1871 per il suo attivismo nel Risorgimento, amico di Mazzini che incontrò a casa sua per parlare del sogno ancora lontano dell’Unità d’Italia, con gli amici di sempre, Federico Salomone e Angelo Pellegrini, vicini a lui anche nella sepoltura.  Oggi manca, sotto il busto del Marrelli, il medaglione della figlia Adelaide, era lì fino a qualche tempo fa, ritratta tra nastri e fiori intrecciati con il papavero, simbolo del sonno della morte. Nelle strade velate di questa città di pietra si ripercorre parallela L’Aquila di fine ‘800 con le persone che, allora, la abitavano. La lapide di Fabio Cannella, senatore del regno, al cui funerale gli aquilani “provvidero, con rara concordia a dar solenne testimonio” e quella di Karl Ulrichs, precettore della famiglia Persichetti, padre del movimento omosessuale europeo morto nel 1895 all’Aquila, sulla cui tomba si ricordano le sue battaglie che influenzarono generazioni di attivisti e le dichiarazioni sui loro diritti del 1867.

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La tomba di Pietro Marrelli come appariva prima della perdita del medaglione raffigurante la figlia Adelaide

Poi c’è la quotidianità, in questo Spoon River aquilano, le vite comuni di fine ‘800,   il giovane medico De Marchis con forbici, bisturi e pergamena, la signora Filomena con le sue “forme robuste” la immaginiamo mentre contratta con il “mercante onestissimo contento di modico lucro” Valentino Cabalzar nato nel Canton grigione in Laax o con il proprietario terriero della statua maschile che ha i frutti della terra ai suoi piedi. E la scuola e gli scolari dell’Istituto tecnico normale che ricordano il professore Antonio Gregori, siamo ancora nel 1884, “perché duri nel memore affetto“.

Più in là, in un’altra zona, “un altro quartiere” in questa visione di città ottocentesca, c’è la guerra con l’obelisco, l’alamaro, la sciabola e il fodero del militare Perrucci cha ha trovato il martirio nel duro carcere, o il berretto con il numero 64 di Luigi Capalbo, in divisa, “stanco di lottare contro l’avverso fato” o il soldato  Di Carlo deceduto a Cefalonia, e qui entriamo nel 900, con le prime foto stampate su porcellana.

E ancora statue di fanciulle pensierose e malinconiche,  qualcuna sparge fiori, putti cicciotelli, fratelli che si ricongiungono nella terra, la colomba che solleva con il becco un drappo sottile che sembra velo, il commiato di una mamma, Anna Giancarli, che saluta il figlio e il marito alla presenza di un angelo di Sabatino Tarquini, artista formatosi alla scuola del Patini, il peacefully resting per Margherita Romano, Icaro che precipita drammaticamente, quasi avvitandosi nel marmo di Carrara per la morte dell’aviatore Umberto Sansone, 23 anni, prima guerra mondiale.

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E poi  la seconda, di guerra, con la povera tomba di un ragazzo yugoslavo Panto Cemovic, 21 anni, studente di medicina, torturato e ucciso da nazifascisti il 1 giugno 1944, qui sepolto dal gruppo patrioti stranieri che “lo consacrarono alla storia perché sia ricordato ed onorato in ogni tempo il suo martirio” come i  nove martiri, trucidati nel 1943 che riposano nella collina di fronte in un mausoleo che sembra abbracci la città di oggi. E ancora  le croci di ferro senza nome, data, storia. Solo terra su terra. Su tutto un senso di abbandono, le rose selvatiche che crescono, l’erba che infesta le lapidi ormai illeggibili, le tombe divelte, le cappelle aperte,  l’oltraggio dei continui furti di rame.

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Eppure vuole parlare, il cimitero, contrastare l’oblio con il suo linguaggio di memoria e simboli scolpiti nel bronzo o nel marmo. Le colonne spezzate sono le vite spezzate, l’alloro le virtù militari, la quercia la forza e l’integrità, il serpente la morte che viene a tradimento, il salice piangente la natura che partecipa alla perdita di una bimba, il colletto in pizzo e l’orecchino tratti  di una moda d’epoca. Si vuole trarre dal silenzio le vite, raccontarle come una cronaca, tramandarle a generazioni non ancora nate. E poi, in questo luogo dove “tutti, tutti ora dormono” c’è lei, bellissima, altera,  Francesca Chiodi. Il cappello è vistoso, il  merletto di stucchi che incorniciava la sua foto è caduto. Le date 1883-1911 inscrivono la sua vita emancipata, donna libera e indipendente, la notorietà,  lei che da stiratrice era diventata famosa protagonista dei café-chantant e del teatro di varietà con il nome d’arte di Paolina Giorgi, catalizzatrice di successo e corteggiamenti, anche di d’Annunzio, personaggio letterario in vari libri,  poi  anche imprenditrice con la società  Chiodi & Capranica che gestì, con la famiglia,  la mobilità cittadina. E’ possibile ascoltare la sua voce, energica, vibrata, giovane  in un raro documento audio pubblicato su internet  nell’archivio Pietro Catauro “ A Russulella” del 1905, sei anni prima che fosse uccisa a  Genova nel 1911, a soli 28 anni, da un ossessionato innamorato respinto che poi si suicidò. Un caso eclatante di femminicidio, tutte le cronache ne parlarono, un universo che oggi, a quell’immagine,  sostituisce le foto e le storie di tante donne,  in una  linea del tempo torta, che  torna indietro, non va avanti. Su questo silenzio macchie di colori di crisantemi che per giorni onoreranno la memoria dei nostri cari, mentre la litania consumistica di   “dolcetto o scherzetto” si traveste con maschere trasfigurate di Halloween e suonerà ai nostri campanelli. 

L’immagine di Francesca Chiodi nella sua tomba. La cornice intorno alla foto ora non c’è più



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