ALPINI. Da dove vengono, chi sono…

E’ un drone che vola alto e passa sulla caserma degli alpini Rossi dell’Aquila, sul IX reggimento, punta la telecamera e schizza via, indietro, al 1872, quando le Alpi reclamarono montanari per un nuovo corpo di fanteria.

Un paese ancora smarginato, l’Unità appena alle spalle, lo spirito di condivisione e laboriosità di un’Italia contadina confluisce nelle truppe di montagna seguendo l’intuizione del capitano di stato maggiore, Giuseppe Perrucchetti, che vuole affidare la difesa delle Alpi a gente di montagna, nel DNA il cuneo del gelo, vallate e crinali, il vento che batte sull’ombra di uomini che si esprimono nell’unico idioma conosciuto, il dialetto, neanche si capiscono fra loro, ma hanno confidenza con il linguaggio di una montagna madre.

Ora il drone vira sulla I guerra mondiale, conflitto di alta quota alpino, freddo che spacca la pelle, zone inaccessibili, la disfatta di Caporetto, la vittoria del generale Diaz, la commozione nel I raduno ANA nel 1920 proprio ad Ortigara , sudario di alpini, abbassatosi di otto metri per la terribile battaglia, per riconquistare sasso dopo sasso razioni di territorio, in ginocchio su quel verde spietato, terra e corpi. Adesso lo zoom è sulla seconda guerra mondiale, fronte greco albanese, medaglie d’oro al valore a Luigi Rendina dell’Aquila, Silvio Di Giacomo di Acciano, Ugo Piccinini di Barisciano cui viene intitolata la scuola elementare.

Ci si muove sulle scie dei ghiacci. Schegge di neve insanguinate, il fronte russo, lamine del gelo sugli scarponi aperti di un equipaggiamento privo di imbottitura, le sentinelle morte in piedi congelate “nei silenzi smarriti della terra russa”. E’ Don Gnocchi a parlarne in “Cristo fra gli alpini”. Dice messa, alza il crocifisso, gli uomini sono spaventati ma trovano una bussola, addomesticano la paura, audaci di disperazione, qualcuno riesce a tornare e sopravvivere a “settecento chilometri di steppa invernale e undici combattimenti “. Messe canti comunioni, così gli alpini mappano le loro adunate, fanno corpo, si muovono all’interno di codici cristiani, li trovano e li confermano in una liturgia di vita. Ma c’è un mulo che il drone punta, ora, lo inquadra, lo registra, ha un pesante equipaggiamento ed è coperto di ghiaccio. Si chiama Cavolo fiorito. Accanto a lui c’è un uomo. Si ripara dal freddo sotto la sua pancia, lui lo accarezza, il muso morbido del mulo lo lecca. Pare che piangano insieme. Intorno solo cristalli di neve. Tanti ne sono morti, di muli, impaludati, carichi come erano. Ogni divisione ne aveva circa 3500. Ognuno con un proprio nme.

E uno, Facco, seguì la rotta da solo, arrivò a destinazione senza più il suo compagno, l’uomo, l’amico, come se fosse umano, come se capisse la topografia bruciata dal bianco del ghiaccio, orientato dal mistero di una bussola istintiva. Il drone sosta, soggiogato da quel legame, quasi si raccoglie in questo museo della sofferenza espressa anche da chi non è uomo, torna, ora che quelle guerre sono finite, a L’Aquila per vedere missioni di pace partire per l’Afghanistan. E mentre sta virando è richiamato dal sisma.

I volontari dell’ANA , gli alpini in congedo, più di 8000 operano, da subito, nei campi di accoglienza, anche questa è una guerra, guadagnano terreno e realizzano a Fossa il villaggio ANA e la chiesa di San Lorenzo. Guardano il Gran Sasso, la Majella, il Sirente, leggono lì, su quelle rocce, i propri canti, pregano con quelle strofe “Signore delle cime, un nostro amico hai chiesto, ma ti preghiamo lascialo andare per le tue montagne”. E poi ritornano qui, le famiglie si ritrovano sempre, è Don Bruno Fasani a parlare almeno una volta l’anno, è lo spirito di solidarietà a scegliere L’Aquila. E’ l’agape, è l’esorcismo al dolore, è la memoria della sofferenza. Il drone si allontana, vede l’annuale raduno, di nuovo la caserma Rossi, i canti, le fanfare, i cori riempiono la città. Prima di andare ad un’altra missione, fissa nell’obbiettivo gli alpini in marcia. Scatta l’immagine, in tempo reale mi arriva, la rigiro fra le mani. Vedo un esercito verde, sono alberi, una penna nera fra le foglie dei rami, teneri e duri, boschi frondosi, alti, compatti, bufere e tormenti, corteccia viva.

Sfidano, solidi, i vortici dei tempi, difendono una memoria silenziosa, sequoie con la cima verso il cielo, radici annodate alla terra, custodi che tramandano, vigili, i segreti di un’identità e di un territorio comune.

Ringrazio Don Bruno Fasani, direttore de ‘L’Alpino’, mensile dell’ANA, per la cordiale “chiacchierata”. Sono previste 250/300.000 presenze. Oltre il senso, dovuto, dell’accoglienza (notissimo il modello ” orso aquilano”) e gli inevitabili disagi, saremo in grado di reputare, senza polemiche, l’adunata un’opportunità visto che nel 2013 la ricaduta economica del raduno è stata di 120 milioni, di cui 70 direttamente sul territorio? (Fonte: Ricerca dell’ Università Cattolica di Milano, sede di Piacenza).

La storia del mulo Cavolo fiorito è stata raccontata, e premiata, da Luca Ursini, 1 C della scuola Mazzini dell’Aquila, Istituto Comprensivo Mazzini-Patini, nel tema “La storia di mio nonno e Cavolo Fiorito”.

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