LE MUMMIE DEL CASTELLO DELL’AQUILA

Alcune foto già raccontano una storia, la scrivono senza parole, silenziate nello stesso spazio urbano dove oggi camminiamo, intorno al castello, ignari dei vissuti lì sepolti. Non conosciamo molto di queste trame che un giorno erano vita, nascoste dalle pietre e dall’anonimato del tempo, in un luogo che è stato Museo, prima ancora comando dei tedeschi, e ancora più giù prigione per reati politici nel XIX sec. Lì furono ritrovati, in un locale chiuso e murato del Castello, centinaia di corpi mummificati conservatisi grazie all’ambiente secco e ventilato.

Era il 1902 e le crude immagini ci sono state consegnate dalla Domenica del Corriere la cui controcopertina, disegnata da Beltrami, illustrava la macabra scoperta. Proprio in rispetto della impietosa nudità di questi corpi, poveri che restano tali anche dopo la morte, oltre le ipotesi suggestive o fantasiose, bisogna tener conto che sul piano del cortile, vicino all’ingresso principale, prima del bastione Est che conserva ancora oggi il Mammut, c’era la cappella di Santa Barbara, patrona delle armi, progettata sin dall’inizio con questa funzione. Si può quindi supporre che quei locali fossero il naturale cimitero del Castello. Non era affatto insolito, infatti, seppellire i morti nelle chiese, almeno fino a quando l’editto napoleonico di Saint-Cloud del 1804 stabilì che i cimiteri fossero posti fuori delle mura cittadine.

Se non fosse che, almeno tre di questi corpi, fotografati prima di essere inumati insieme agli altri nel cimitero dell’Aquila, tradiscono nell’immagine pubblicata una morte, forse, non troppo serena “uno in piedi pare cerchi di tirarsi indietro per schivare qualche pericolo imminente; quello vicino, seduto, sembra sia morto legato e l’ultimo mostra di essere spirato contorcendosi”.

Appartenenti a epoche diverse, di tutti i corpi solo quattro mummie furono poi conservate nel Castello Cinquecentesco dell’Aquila e trasportate per restauro al Museo Universitario di Chieti prima del sisma, dove ancora sono in attesa, si spera, di tornare nel luogo dove il tempo le ha volute restituire.

Dai tanti segreti della loro vita, e della loro morte forse tragica che queste mummie continuano a conservare, è stato possibile però risalire, attraverso esami istologici dei tessuti cutanei ed altre indagini, a indizi reali che le avvicinano nel moto di pietas che investe, commuovendo, chiunque le guardi.

Delle quattro mummie due sono donne adulte, 22/23 anni di età la prima; 30/35 anni la seconda che presenta una ferita da taglio sul collo. Una delle due donne è probabilmente madre della bambina di quattro anni. L’altro bimbo, della stessa età, è vissuto fra il 1499 e il 1617, e presenta “lacerazioni sui polsi, probabilmente conseguenti a violenze subite in vita o immediatamente dopo la morte”.

I resti di brandelli di lino intorno ai bambini restituisce un dettaglio struggente, animando quello che di loro resta, con squarci di banale quotidianità nella vestizione. Siamo lontani dai richiami di Halloween, o dei morti viventi. Siamo, invece, di fronte vite vere, all’interno di un cono della storia, caleidoscopio che ci restituisce, oggi, schiamazzi di bimbi al parco del Castello, lo scodinzolìo di un cane, le chiacchiere di amici, la cui trama si è svolta in luoghi familiari che pensiamo di conoscere, ma che , nelle stratificazioni di altri tempi, come eco lontano, arriva fino a noi per narrare le tragedie, e l’insondabile, di vite passate sui nostri stessi luoghi.

Le foto sono dell’Archivio fotografico della Soprintendenza S.A.B.A.P. di Chieti

La scheda tecnica da cui sono state prese le informazioni sulle indagini delle mummie sono di Marinella Urso e tratte da: AA.VV., Mummie: un archivio biologico, Catalogo della mostra, Teramo

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