UNA STORIA STRAORDINARIA: QUANDO I DANESI SI INNAMORARONO DELL’ABRUZZO AQUILANO

di Raffaella De Nicola

Se, incredibilmente, in vari musei scandinavi ci sono numerosi quadri su un paese dell’aquilano è perché ci fu, ad un certo punto della storia, un incontro folgorante  fra la luce dei boschi della Valle Roveto e un artista danese che cercava l’indipendenza e la libertà  dalla formazione accademica. E che lì formò, tornando ogni estate per più di trent’anni, una scuola d’arte, un  cenacolo.

La lettera, che scrisse il  22 giugno 1883, trapela di entusiasmo

“Sono innamorato della montagna e del carattere che dona alla gente che l’abita. Dovresti vedere i giovani lavoratori tornare dai campi. Con le zappe in spalla, canticchiando allegri alle loro melodie del saltarello. … tutti cantano con il cuore, così che la loro gioia sale dritta nell’aria come una bolla scintillante” e ancora  alla madre “ la vita a Civita d’Antino è come una grande festa. Tutti si fanno in quattro per noi”.

Lui è Kristian Zahrtmann, pittore di spicco in Danimarca che all’epoca aveva circa quarant’anni. Era arrivato nella Marsica, in cerca di refrigerio dopo aver attraversato la Ciociaria, con Ambrogio, modello originario proprio di quel paese. Ed aveva trovato una vita distante dai ritmi danesi, cadenzata dai lavori nei campi, un repertorio folklorico che dipinse, affascinato, nella ritualità della religione cattolica mentre il fiume Liri splendeva  nell’alveo del suo percorso. In questo modo, con  la ritrattistica di quei visi che con la montagna spartivano le  attese, Matilde fiera nel volto,  Ambrogio  bellezza rude, Pietro con il cappello, i modelli popolari ci restituiscono uno spaccato del paese marsicano di fine ‘800 nelle sue semplici pratiche quotidiane,  le donne con le conche, gli uomini con le zappe, i veli bianchi dei matrimoni,  una bellezza antica, un’ Arcadia possibile di un Abruzzo di fine ‘800.

Matilde, 1903

Negli oltre 30 anni di permanenza a Civita d’Antino, dove trovò una incantevole ospitalità nella locanda Cerroni,  formò una scuola di pittura indipendente frequentata da  circa 90  pittori che scesero nel paese “ piccino piccino abitato da gente squisita”,  formando un cenacolo di artisti danesi che nell’ en plein air,  il dipingere all’aria aperta,  con la luce e i colori elementi fondanti dell’Impressionismo, hanno  contribuito alla “svolta modernista dell’arte danese e il movimento naturalista” lasciando una testimonianza indelebile  della comunità della Valle Roveto  e di un Abruzzo che da lì a poco sarebbe stato distrutto dal terremoto del ’15. Tanto profondo il rapporto, loro gente del Nord Europa abituata ad altri modalità e  costumi, che firmarono, con i propri stemmi,  le pareti della “Casa dei pittori danesi” fissando lì il loro tempo e  luogo.

Erano gli anni che vedevano la costruzione delle prime tratte ferroviarie, la povertà e la sofferenza denunciate dalla ritrattistica sociale di  Teofilo Patini, che a L’Aquila nel  1882 fondava la Scuola di Arti e Mestieri, e   che in “Bestie da Soma” , o altri quadri, denunciava la  denutrizione, l’abbandono, le malattie indagate dalla cruda Inchiesta parlamentare Jacini iniziata nel 1877. Quasi contemporaneamente all’esperienza danese di Civita d’Antino, dall’altra parte dell’Abruzzo, sulle rive e le spiagge di Francavilla, dove il mare bagna il cielo, un altro cenacolo, Michetti, Barbella, Francesco Paolo Tosti, Paolo De Cecco,  Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio davano l’avvio ad un’altra straordinaria stagione artistica con   Gabriele d’Annunzio che, nella Prima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia nel 1895, riconobbe la sincerità dell’Abruzzo degli artisti scandinavi di Civita d’Antino. Mare e montagna, costa e interno nella infinita dialettica geografica e culturale, che ora  veste  altre grammatiche  confluirono, con tecniche diverse, nell’Abruzzo arcaico delle ritualità sia sulle tele del Michetti che in quelle di Zahrtmann e della sua scuola.

Si racconta che mai il maestro danese lasciava andare via  a mani vuote  gli ospiti. Ed infatti, in  osmosi con il paese che tanto gli aveva donato,  volle concorrere  alle spese pro Antino  per la piantumazione dei platani nella piazza che porta il suo nome, costituendo uno delle prime esperienze delle future pro – loco, la più antica, comunque, dell’Italia centro meridionale. Generosità e arte, scorci, calure estive, volti rudi di freddi inverni, sono così arrivati fino a noi in rappresentazioni documentarie piene di luce. La casa dei Pittori Danesi, ed in particolare la stanza di Zahrtmann nella locanda Cerroni, si affacciava  su  una deserta, ora,  Porta Flora da cui vedeva le donne che avrebbe poi ritratto, in circolo nello svolgersi del “chiacchiericcio” quotidiano.  Memorie  di un luogo,  pietre ora silenziate, un paese quasi abbandonato che allora contava 2000 abitanti. Così come abbandonata è la tomba, nel cimitero napoleonico,  di uno di loro, Anders Trulson, morto lì di tubercolosi nel 1911, quattro anni prima che l’incredibile esperienza danese in Abruzzo si interrompesse con il devastante terremoto del 1915. “Il crepuscolo degli dei che attraversa il mondo ha colpito anche la Danimarca. Il grande lutto nazionale italiano ha portato cordoglio anche da noi. Civita d’Antino non è più” , scrisse lo scrittore Johannes Jorgensen parlando della perdita geograficamente lontana  di quel paese conosciuto,  intimamente vicino, “un piccolo paradiso“.

Fu solo per una strano caso del destino, dopo 34 anni da quel 22 giugno 1883 in cui  Zahrtmann scriveva entusiasto della luce e del carattere delle genti di montagna di Civita d’Antino,  che l’artista  morì a 74 anni proprio il 22 giugno 1917, in un ciclo che sembra chiudersi lì dove si era aperto,  dopo aver avuto la cittadinanza onoraria e aver vissuto  nella  abitazione danese  che aveva chiamato, evocando il  paese che gli aveva cambiato la vita, “Casa d’Antino”.

Zahrtmann alla Pensione Flora con i suoi amici

Rimangono ora, nel silenzio di un paese quasi disabitato, le targhe a ricordo di una straordinario incontro artistico, il suo nome nella piazza,  le lapidi cimiteriali e gli alti platani piantati da lui per abbellire Civita d’Antino le cui fronde,  ci piace pensare, accarezzasse malinconicamente dalla Danimarca, mentre i dipinti della sua Scuola  consegnavano all’Europa futura la luce scolpita di un piccolo paese montano,  prima che il Grande terremoto devastasse la Marsica.

Parenti del pittore danese Anders Trulson al cimitero di Civita d’Antino. Foto di Antonio Bini

 

Molte delle opere degli impressionisti danesi sono state acquisite dalla Fondazione Pescarabruzzo

Per altre info: sito www.civitadantino.com;

La scuola di Civita d’Antino in Abruzzo di Antonio Bini, Menabò edizioni.

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