Il Maestro del Rinascimento aquilano. Saturnino Gatti, uomo non comune
Nella forzata chiusura dei musei per il Covid-19, il Museo viene da voi.
La storia di Saturnino Gatti uomo, non comune, del Rinascimento
di Raffaella De Nicola
Sono andata a ritrovarla, in questo tempo di zona rossa, doppia per noi, dietro via Roma, la casa di Saturnino Gatti. Il registro della memoria va indietro quando, piccolina, dalla pizzeria a San Pietro, un fondaco scese le scale che offriva pochi posti a sedere ma i rimpianti calzoni più buoni del mondo, sgaiattolai dentro l’ombelico del quarto di San Pietro di Coppito e fui sedotta da quel nome, d’altronde il mio gatto si chiamava Saturnino, fra quelle arcate che si lasciavano dietro il Medioevo e annunciavano il 1500
Sarebbe stato quel nome, impossibile saperlo per me ragazzina, invadente nel mio futuro lavoro, mentre giro fra le sale vuote di un museo chiuso, il MuNDA, fra le opere di quest’ artista, protagonista assoluto del Rinascimento aquilano, nazionale, secondo Sgarbi, che lo ha voluto accanto a Michelangelo, Perugino, Raffaello, Tiziano, Pinturicchio nella mostra sui Borgia al Museo Maillol di Parigi nel 2014.
Quale voce abbia avuto quel bambino nato da un macellaio in un’incerta data a San Vittorino, 1462 o 1463, non lo sappiamo. Ma conosciamo quelle mani, le sue mani, di pittore e scultore che si mossero lungo la via degli Abruzzi dalla frazione di Pizzoli, allora paese molto prospero, sulla infernale dorsale appenninica, che ancora oggi non si acquieta, di Amatrice, Accumoli, luoghi d’origine dei potenti Camponeschi, Ascoli Piceno, Cascia, Perugia.
La lettura della sua vita e delle sue opere si muove fra ricerche, supposizioni ed intuizioni degli studiosi, fra attribuzioni, alcune ripensate, non sempre univoche.
Cresciuto accanto alle espressioni classiche e ai rilievi paleocristiani di S. Michele a San Vittorino da una parte, e dall’altra ai rumori dei cantieri che riparavano i danni del sisma del 1461, si forma nella bottega di Silvestro dell’Aquila , in una differenza di età di appena dieci-quindici anni circa, recependo poi l’influenza del Verrocchio.
Scultore e pittore raccoglie nella sua esperienza artistica il grande movimento del secolo d’oro aquilano: i santi che sono passati, San Bernardino, San Giovanni da Capestrano, S. Giacomo della Marca, le parole scese sui battenti delle porte fissate per sempre nell’ideogramma bernardiniano del sole a 12 raggi, in una città che cercava la consolazione alla peste, ai terremoti , guardando Dio. E ancora il privilegio di battere moneta, la fondazione dell’Università, la prima tipografia del meridione con Adamo da Rottweil, Raffaello che dipinge la Visitazione per i Branconio a San Silvestro.
Una cifra artistica, quella di Saturnino, espressa nel meraviglioso caleidoscopio di angeli che volteggiano intorno all’Eterno, guardati con la testa in alto che ruota nella girandola di colori iridescenti, gli effetti illusionistici, con l’angelo che accorda il liuto ed ancora l’orientamento nella chiesa di San Panfilo a Tornimparte,” opera cardine della sua attività, Il trionfo del genio”.
E la terracotta di Sant’Antonio abate, al Museo dell’Aquila allora al Castello cinquecentesco, siamo nel 2009, la mano dell’uomo che prende 800 frammenti con accorata rassegnazione, li classifica, li fascia e li recupera con un restauro che sa di miracoloso, professionalità tutta italiana, la Sacra famiglia, la Pietà e le richieste di committenze fuori i confini della città, frontiere attraversate nel tunnel del tempo se il suo “Transito della Santa casa di Loreto” ora è al Metropolitan Museum di New York.
Nel 1517, alla vigilia della sua morte avvenuta l’anno dopo, Saturnino prende il legno, lo scolpisce con i capelli attorcigliati, la bocca semiaperta con il particolare tutto umano dei denti che si intravedono, e realizza un San Sebastiano, più e più volte rappresentato dall’artista, interfaccia, il Santo, secondo Sgarbi, dell’Apollo pagano, dio bello e solare, condito da ” sufficiente ambiguità, divenuto icona del mondo gay”.
Nella sala del MuNDA , dedicata alle sue opere, la struggente delicatezza della Madonna di Collemaggio ci richiama . Ci inchiniamo per vedere meglio il viso dolcemente reclinato della giovanissima Madonna che guarda il miracolo del suo amore, Gesù Bambino, le vesti dorate con il risvolto azzurro, capolavoro assoluto del 1506, cotto in un unico pezzo, estratta dalla macerie della Basilica. Una tenerezza nei tratti del viso che richiama probabilmente un’esperienza personale dell’artista, diventato padre, in quello stesso anno, della sua quarta ma unica figlia femmina, Maria. La Madonna troneggia, importante ma discreta, di fronte al presepe di Tione, proveniente in realtà da Santa Maria del Ponte, ora borgo spopolato che un tempo parlava, invece, un linguaggio raffinato di arte, in un Abruzzo interno e montano non impoverito come ora se, proprio nella stessa chiesa Saturnino aveva lavorato per il presepe e il Sant’Antonio abate all’ombra della luce riflessa e dorata di quel meraviglioso ambasciatore dell’arte abruzzese che è il Trittico di Beffi degli inizi del XV secolo.
Alle mie spalle la maestosa tempera su tavola della Madonna del Rosario che esplode in una mandorla di raggi solari e rose rosse, proveniente da San Domenico, lettura complessa, piena di dettagli su sfondo blu, con il movimento drappeggiato degli angeli che sostengono i simboli della passione sopra un Papa ed un Imperatore inginocchiati.
Alla sua destra, fissa nella sua bellezza, La Madonna sotto un baldacchino con cinque aquile frontali, proveniente dalla cappella della torre civica dell’Aquila, con il Bambino che esce dal fondo nero del mantello, uno sgambettio delle gambe paffute, il piede sinistro quasi a scalciare, mostra il tratto fanciullesco di un bambino che sembra voglia solo giocare.
Non sappiamo molto dell’uomo Saturnino Gatti, se non che sposò, quasi trentenne, Faustina di cinque anni più giovane, figlia del Maestro Bernardino Sfrajo di Paganica da cui ebbe cinque figli, l’ultimo nel 1507
Ne’ sappiamo della sua quiete o delle sue inquietudini, profonde, probabilmente, se guardiamo l’espressione ombrosa, imbronciata, severa che ci ha voluto lasciare nel suo presunto autoritratto dal viso largo, secondo l’interpretazione di Lucia Arbace (rif. in calce), nella chiesa di Santa Margherita a Cascia.
Rimangono, però, le tracce del suo passaggio, e non solo. Conosciamo attraverso la storia delle opere d’arte anche la storia della comunità aquilana che si appellava al Dio conosciuto e umano, fra disastri, terremoti ed epidemie, cercando conforto. E così Silvestro dell’Aquila intagliò nel 1478 per la chiesa del Soccorso , come ex voto per il pericolo scampato della peste, con la collaborazione del suo giovane allievo Saturnino, il San Sebastiano che guardo rivoltandomi, di sbieco, ora, mentre esco dalle sale buio del museo, in questa forzata chiusura, contro questo nemico invisibile e virale che rende un passato narrativo così vicino, invece, al tempo della, sempre presente, vulnerabilità umana
Lettura e foto riprese da: Saturnino Gatti. I volti dell’anima di Lucia Arbace, de Siena editore, 2012
Saturnino Gatti pittore e scultore nel Rinascimento aquilano di Ferdinando Bologna, Textus edizioni, 2014