ODE ALL’ASINO

di Raffaella De Nicola

Immaginiamo un drone che attraversa le campagne militari. Siamo nella I guerra mondiale, conflitto di alta quota, freddo che spacca la pelle, zone inaccessibili, la disfatta di Caporetto, la vittoria del generale Diaz.  Lo zoom vira dalla prima alla seconda guerra , fronte greco albanese e russo, l’operazione Barbarossa lanciata dalla Germania nazista contro l’Unione Sovietica nel 1941, le sentinelle morte in piedi congelate “nei silenzi smarriti della terra russa”. Accanto ai soldati, agli alpini,  c’è sempre lui, orecchie dritte, sguardo umido. Il drone lo punta, lo inquadra, lo registra, ha un pesante equipaggiamento, è coperto di ghiaccio. E’ un mulo, si chiama Cavolo fiorito. Accanto, un uomo che si ripara dal freddo sotto la sua pancia, lui lo accarezza, il muso morbido del mulo lo lecca, si consolano, pare piangano insieme. Intorno solo cristalli di neve.

“Durante il ripiegamento avevamo centinaia di slitte trainate da muli, che soffrivano con noi e non avevano da mangiare che qualche sterpaglia che spuntava dalla neve. Povere bestie, erano coperte di ghiaccio” scrive Giulio Bedeschi in “Centomila gavette di ghiaccio”.

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alpino e mulo in Albania. Foto ripresa da AltoSannio magazine articolo di Paola Giaccio

E poi c’è Scodella, la mula più resistente nella Grande Guerra decorata con la croce di guerra al Valore militare,  a Villa Borghese un monumento di Pietro Canonica la ricorda, e  Zibibbo nella campagna russa che rientrò sfinito e  solo con parte di un cannone “ e ancora Fusco, un mulo alto, di proporzioni armoniose, con il manto scuro e un elegante incedere che avrebbe meritato, secondo gli alpini abruzzesi del Battaglione L’Aquila,  la stessa fama di altri, unico mulo superstite delle campagne di Grecia e Russia del suo battaglione.

Tanti ne sono morti, di muli, impaludati e carichi come erano. Ogni divisione ne aveva circa 3500, ognuno con un proprio nome. E  Facco seguì la rotta da solo, arrivò a destinazione senza più il suo compagno, l’uomo, l’amico, come se fosse umano, come se capisse la topografia bruciata dal bianco del ghiaccio, orientato dal mistero di una bussola istintiva.

Ora il drone sosta, soggiogato da quel legame, quasi si raccoglie in questo museo della sofferenza espressa anche da chi non è uomo.

Già nel 1915 Giuseppe Bevione, brillante giornalista, politico impegnato, ufficiale volontario negli alpini e medaglia di bronzo al valore militare, scriveva, per onorare il binomio mulo-alpino “a guerra finita, si dovrebbe erigere al mulo un monumento di riconoscenza nazionale. Senza il mulo l’Italia non avrebbe potuto combattere”.

 

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Foto tratta dalla linea sul Pasubio – quotidiano on line Il Trentino

Questo è solo l’incipit di un racconto immaginario e millenario, quello del mulo, l’eroe senza parola oltre l’essere animale,   “cugino” dell’asino festeggiato, non a caso, l’8 maggio, a ridosso della festa dei lavoratori.
Sostegno, per secoli, nell’ attività dell’uomo oggi, questo splendido mammifero viene spesso utilizzato nell’agricoltura sociale, nel trekking, nelle attività ricreative e terapeutiche.
Robusto, resistente, mite, ingiustamente associato all’idea di stupidità, appare negli antichi testi e in numerosi episodi religiosi.  Nel Vecchio Testamento l’asina di  Balaam, famoso mago,  vide l’angelo prima del suo padrone. In groppa ad un asinello  la Vergine e il Bambino fuggono dall’Egitto e  Gesù, ormai adulto, entra a Gerusalemme a dorso di un asino.  E  poi c’è ancora lui, nella scena cardine del Cristianesimo, la Natività, nell’iconica visione di una grotta, accanto al bue, fra la paglia e una stella cometa su, ancora più su, nel buio di un cielo che ancora illumina, da allora, i nostri tempi, lo ritroviamo accanto al Bambino appena nato.
Così lo avranno visto,questo asinello mite e sovrastato dal suo destino, oltre un milione di visitatori quando, dopo il sisma  dell’Aquila del 2009, il Trittico di Beffi ha viaggiato per il mondo, esposto alla National Gallery of Art di Washington, al Nevada Art Museum di Reno e successivamente al Getty Museum di Los Angeles.
Noi, a L’Aquila,  abbiamo il privilegio di ammirarlo sempre, nel Museo Nazionale d’Abruzzo,  protagonista assoluto e ambasciatore nel mondo dell’arte pittorica regionale, nel bagliore della nascita di Gesù Bambino, in uno sfondo dorato che ci arriva dal delizioso borgo di S. Maria del Ponte come piccola, preziosa, meteora che, dall’inizio del XV secolo, viaggia instancabile in un percorso di testimonianza che andrà ben oltre noi e parlerà sempre di noi.

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Dettaglio Trittico di Beffi, inizio XV secolo

 

 

Alcune testimonianze sono state riprese dalla scheda della mostra a Gorizia, nel 2016, : “MULI E CONDUCENTI! TUTTI PRESENTI!” 1872-1991: il legame tra muli e alpini attraverso 120 anni di storia  curata da Serenella Ferrari e organizzata dall’Associazione “Amici dell’Arte Felice” di Gorizia in collaborazione con la sezione ANA di Gorizia, l’Associazione “Isonzo Gruppo di Ricerca Storica, il Centro Ricerche Archeologiche e Storiche del Goriziano

 

 

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