La vera storia di un foglio di carta

E del colpo di reni che cambiò il suo destino.

“Non ho capito” dissi scocciata ad alta voce” dovrei rassegnarmi nuovamente all’ennesima bordata di chi non ha le giuste idee????” – urlai !!!

“Voglio dire – continuai ancora più alterata – perché devo essere usata da questa stramba etnia di politici-amministratori, vescovi-conti di questa nuovo Medio Evo, quando mio fratello è stato solcato dall’inchiostro nero della penna di Camilleri? O vogliamo parlare di mio cugino su cui è stato stampato l’invito a nozze dei regnanti inglesi? Per non dire poi dell’ultimo best seller della Parodi “la Divina Cucina” erede autentica della stirpe italica? No No e poi no, mi rifiuto, non voglio, mi dimettooooo. Tanto vale essere carta igienica di profumate culetti imborotalcati piuttosto che venire usata come carta per tassazioni o leggi e raggirare uomini dal raro talento della normalità in questi miasmi di interessi nascosti dietro le pieghe di regolamenti che tutelano solo i privilegiati?

Io non voglio essere complice di tutto ciò. Ma veramente pensano che siamo tutti deficienti? ” gridai sbattendo poderosamente sulla scrivania il mio lato migliore, quello B.

Sull’assemblea scese un gelo di silenzio.

Nell’ultimo mese le sedute settimanali della C.L.I. (Carta Libera Indipendente) erano particolarmente animate per la volgarità nauseabonda di un trend che sembrava ineludibile.

“Scusami” disse una vocina tiepida e sottile ” mia sorella si è prestata ad essere usata nelle indicazioni e controindicazioni di un lassativo di una nota casa farmaceutica.
Lei sì che è veramente bella, luminosa, liscia, una bella grammatura non c’è che dire, non come me che ho queste strane striature giallastre. E poi è istruita, ha conseguito vari master alla University Papiro. Però è tranquilla, non è ambiziosa, ha rifiutato un posto alla escort, la macchina. Per questo il suo curriculum non è stato apprezzato e ha dovuto ripiegare sull’uso che ti ho detto. Ma cosa mai potrò fare io allora, se non essere usata per impacchettare una bella ed oleosa frittura di pesce, poi accartocciata e buttata per strada, senza neanche sperare di essere riciclata? Quale futuro per noi, in questo mare di incertezze?”

“E allora io che dovrei dire”? esclamò una voce nobile e superba dall’ultima fila di una risma “mio padre era una bella carta da parati con ricchi stucchi a decorare uno studio di un notabile un po’ gay, con calze a rete e giarrettiera, non so se mi piego… Mia madre ogni sera era letta per la scaletta dell’Opera alla Scala da eleganti signore che la solleticavano con guanti neri di pizzo e io ho ricevuto un’unica e solitaria offerta per un rotolo di carta da FORNO!!!!!!!!!!!!!!!! Ma vi rendete conto?????? CARTA DA FORNO su cui olio cotto e bruciacchiato colerà da una rinsecchita pizza napoletana di una casalinga depressa che cuocerà una pietanza per figli disoccupati e tristi come noi!!!!!!!!!!!”

“Ma dove sono andate a finire le menti che partorivano belle pagine di letteratura, filosofia, racconti e romanzi che aiutavano il senso critico e dialettico e dove sono quei lettori che ardevano nello sfogliare la carta dei libri, con l’odore dei fogli ancora vergini, con la dignità di voler cambiare e credevano nel confronto leale, nella interazione, nella osmosi che hanno fatto grande la nostra storia civile? Ma siamo tutti intontiti dalla TV?” disse con tono rassegnato e triste un foglio di pergamena, ormai in cassa integrazione, piegato su se stesso dal peso dell’età e da una quotidianità troppo meschina ormai! “Oggi,” ripresi io guardando la carta riso che se la rideva gagliarda, “la C.O.I (Carta Omologata e Impasticcata) ha preso piede ovunque con le copertine di carta lucida sui reality, su questi “famosi per un giorno”. “Se fossi foco harderei lo mondo” proruppe come un pazzo, in perfetto accento toscano, l’ elegante carta fiorentina avvicinandosi, plateale ed infiammato, alla carta paglia. “Ed io invece lo raderei per ricostruirlo più pulito” era la carta abrasiva a parlare.

“Ah e cosa dovrei dire io che non servo più perché l’acidità ormai è ovunque!” piagnucolò una desolata cartina tornasole.

“E allora io in cassa integrazione soppiantato dai Tom Tom, Tam Tam, Pom Pom o come diavolo si chiamano ?” esclamò una cartina stradale.

“Ah, ah!” rise beffarda una carta velina ” io me ne fotto delle vostre chiacchiere . . . io sì che vado di moda! A me basta divertirmi ed incassare carta verde, banconote per intenderci. Ieri sera con un’altra velina ho incrociato un bel macho, cartone pressato puro . . . mamma mia che bel pacco. insomma ci siamo proprio incartati: frizzi e lazzi a non finire e poi il gran botto: una foto, non si sa mai, può risultare comoda. La mia amica carta fotografica ha incoronato il momento: sorrideva sguaiata e vittoriosa con l’asso nella manica.”

Mentre la velina finiva di parlare una mano grande come una pala mi prese e mi portò inerme nella stanza di un politico con la platea che annichilita esprimeva l’orrore con un ooooooooooohhhhhhhhhhh di rammarico, preludendo già la mia triste fine.

Sarei finita come carta burocratica piena di incomprensibili idiomi ad accentuare la distanza fra governati e governanti, a strozzare con tassazioni feroci vite laboriose che conoscevano solo la dignità del lavoro e non la meschinità dei furbetti.

Colma di rabbia e umiliazione giacevo vicino il computer: c’erano solo una decina di fogli a separarmi dall’inghiottitoio della stampante . . .

Allora mi sono ricordata di quando ero ragazzina e avevo sogni, ed ero incantata, e tutto sembrava magico e ardevo diventare un album di preziosi disegni su cui un’abile artista avrebbe raccontato paesaggi invernali con la neve che fioccava a bagnare magicamente le mani di chi avesse preso in mano quel disegno, o un quaderno di racconti favolosi e incantati in cui la speranza vinceva e l’onesto era sempre il più forte e l’uomo buono sovrastava il cattivo o ancora carta regalo per bambini con gli occhi ardenti di curiosità davanti i doni sotto l’albero mentre si onorava in famiglia il Santo Natale.

E invece no, sarei diventata carta burocratica su cui parole volutamente equivoche avrebbero tassato l’onestà, oltraggiato la preziosa laboriosità e spento aspirazioni e sogni della brava gente, comune e normale. MMhhhhh, MMMMMMhhhhh mi sforzavo, smaniosa, di accartocciarmi per evitare l’uso che ritenevo vergognoso per la mia indole, ma non ce la facevo . . .

Allora ebbi un colpo di genio, ma dovevo essere veloce . . . Quando le mani dell’uomo avrebbero preso i fogli sopra i miei, mentre ero lì per lì per essere spostata sarei, con un salto di reni alla Igor Cassina, volata in aria e OPLA’ atterrata il più vicino alla finestra.

E mentre trattenevo il respiro per dare vigore alla mia forza, l’uomo inconsapevole della mia anima ribelle sollevò i fogli bianchi che erano sopra e mi trattenevano, liberandomi dal loro peso e io UUUAAAAOOOO con il famoso colpo di reni, espirando tutta l’aria che avevo in corpo mi liberai nell’aria volteggiando nella camera del potere e, udite udite, fui rapita da una folata di vento che mi portò fuori dalla finestra a librarmi nel cielo.

Aquiloni, palloncini, bizzarre nuvole mi trascinarono in alto vedendo finalmente e realmente ciò che mi aveva fino ad allora circondata: era la distanza a darmi la giusta dimensione. era tutto piccolo, perché piccolo era il pensiero umano. Allora scesi e nella discesi mi tramutai in un fazzoletto di carta e asciugai le lacrime di un bambino viziato, ma delizioso, di una donna inconsolabile dal tradimento feroce del suo uomo e poi passai sul viso di una donna matura che aveva perso sua madre ormai anziana e sul solco delle rughe stanche di un uomo licenziato troppo tardi e sulla rabbia di una ragazzina lasciata dal suo primo ma autentico amore e sull’anziano stanco della vita e sulla donna che aveva perso la sua più cara amica e sul sogno spezzato di un giovane disoccupato e sulle lacrime sacre di una mamma al primo sguardo verso il figlio. E allora mi acquietai e mi posai sulla terra fradicia di acqua, in mezzo le foglie e le radici a fondermi di nuovo nel ciclo della natura contenta di aver eluso con un colpo di reni un destino più piccolo di quello che volevo e aver consolato, anche se per poco, il dolore sincero e vero degli uomini semplici ma dignitosi, in una quotidianità ormai devastante.

E prima di riandare l’ultima straziante immagine che mai avrei voluto vedere: fogli di carta lacerata, strappata, libri spezzati, quaderni sepolti e fra una maceria ed un’altra l’appunto di una mamma: una lista di spesa mai fatta . . .in una città, ormai, di carta.

Ma era la storia ad insegnarmi che la rigenerazione passa dalla morte, io che nei secoli mi ero trasformata in migliaia di forme, e mi consolai pensando a quando ci saremmo rincontrate, belle e magnifiche, io e la città, rinnovate dal ciclo della vita e chiamate a destini d’ intensità non comune. Guardai in alto nel cielo notturno e vidi la luna che, sorniona, mi sorrideva rassicurante e tranquilla.

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